Antonietta De Luca
- Pamenar Press

- Oct 5
- 5 min read
I’m former professor of Letters and journalist until 2019, is a writer, school director of the Higher Education Institute "Carlo e Nello Rosselli", PhD in European research with a research on the internationalization of EU educational systems.
Author of the book of short stories entitled Stage Generation published in 2009, of the essay La critica letteraria by Giuseppe Pontiggia, she won, with the collection of poems Di Sangue e Pensiero edited for Edizioni Ensemble in 2012 and present at the fairs of Turin, Pisa and Rome, the Magna Grecia International Prize. In December 2016 and January 2017 are respectively the publication of the novel Looking for sole winner of the Master Prize Diego Latella with a jury composed, among others by Maria Latella, Roberta Serdoz and Massimo Gramellini, published by Memoranda, and the pedagogy essay on the school systems of the European Union entitled International Prof. published by Edison Publishing.
Currently I’m writing poems, novels and screenplays. Numerous participations in cultural events and broadcasts, anthologies, prizes and festivals. Many poetic and narrative texts have appeared in magazines and anthologies of literature since adolescence. Recent is the mention obtained at the World Poetry Prize "Nosside", by Pasquale Amato.
My professional growth has been followed and encouraged by teachers and writers accredited in the world of school, academy and literature including prof. Antonio Barbuto, former professor of History of literary criticism at the University La Sapienza of Rome, and Giuseppe Pontiggia.
As a humanist and convinced internationalist, I belong to the stage generation and to that category of women and men of the present and future looking for other possibilities in art, politics, social and civic engagement. Unable to take myself too seriously, I love irony and humor, laughing not to cry and fighting for everyone’s city.
Precipitando
Gemme come semi
nel terreno
preziose tra le dita
e i seni, sereno
il colore intenso
sigilla della vita
più di un momento
di vuoto e di pieno
di sonno e di silenzio.
Passi come abiti
su misura,
elastici, balze, merletti
e distanze, sassi
lanciati per gioco sullo specchio
dell’acqua marina,
una crepa lungo una parete,
un vetro segnato
un graffito sul muro,
un segreto ogni notte,
un respiro,
un sospiro,
un dolore lancinante
soffocato, un dolore
in mezzo al petto,
una ferita aperta
lungo il viaggio, lunga
quanto sarà sempre
il sentiero della bellezza,
di lui quell’immagine
che sola è tutti gli uomini
in cui credo da sempre
cadendo come un angelo
precipitando in love
fino al centro dell’inferno
perdendomi ogni volta
per sempre, senza ritrovarmi
e senza vivere,
senza poter parlare eppure
sussultando in un modo
impossibile da nascondere
impensabile da mascherare,
ma sei terra anche tu
dentro, comunque.
E non ci credo che ti stai
accadendo davvero senza di me.
Tu, il tuo solito cielo d’ombra,
buono per nasconderti
ancora una volta.
Mi parlavi piano e nelle tasche
piccoli frammenti di te
tra i polpastrelli a carezzare
la tua vita con la tenerezza
di un canto di miele, Titire.
Vestiti leggeri, scarpe comode
“Vestiti leggeri,
scarpe comode,
solo semplicemente,
cammino”.
Non era poesia, ma prosa.
In questi giorni mi tornano in mente
queste parole, ripetutamente, un refrain riemerso
dal Novantatré, forse, se tutto va bene.
Sarà perché mi sento innamorata
di uno che ti somiglia, anche se,
spero di no, però, accidenti,
ti somiglia proprio,
a partire da come cammina.
E’ altissimo e sbilenco
come te,
è scorpione, come te,
della prima decade,
vorrei precisare,
è mediterraneo, pelle scura,
occhi profondi
è un uomo di letteratura,
ama la musica,
suona la chitarra,
dimmi se - detta così -
non fa paura.
Per fortuna ha le mani grandi,
non piccole come le tue,
sgorbio.
E figuriamoci se non ha tante
donne, malgrado il matrimonio.
Ho quasi voglia di chiamarti,
ma neanche mi va di darti
tutta ‘sta soddisfazione.
Però dimmi se non è strano.
Chissà che c’è di me,
in voi, pezzi di merda.
Cosa ci può essere di così
prezioso e attraente
di me
in voi, custodi d’ogni criptonite.
Tutti come i fratelli di mia madre:
suadenti, enigmatici,
taciturni eppure narrativi,
inderogabilmente bellissimi.
E’ come se aveste un pezzetto
del centro del mio cuore
all’interno del vostro
e ve ne andaste in giro
con questa reliquia lampeggiante
di romantica purezza
senza lasciarla mai, tenendola
in cassaforte, stretta e vigilata.
E più che l’oppressione della prigionia
la fantasia si sprigiona,
il desiderio, l’energia
mai dissipata che rimane
in eccesso e produce
questo.
Ti rendi conto che avevo
diciassette anni?
A quarantotto
mi muovo ancora
sul sentiero della bellezza,
il tuo.
Non amavo come gli altri,
con la leggerezza di diritto
degli adoloscenti,
amavo e ancora amo
come un poeta vate, sobrio
e maledetto.
E non so di chi sono
solo quando varia il meteo
ormonale e sento di “avermi” persa
e piango il lutto di quella persona
che tanto avevo messo a diventare.
Tu lo sai sempre chi sono io,
in te, tutte le sensazioni che in coro
chiamo ancora e senza dubbio
“Amore”.
Adesso devo, però, riscrivere il copione,
perché l’incontro si realizzi
e io non tema più la sfida
di rivivermi
e prenda col mio pezzo di cuore il tuo,
il vostro, quello degli uomini
irraggiungibili
solo perché
l’ho deciso io.
Tracce degli dei
Lei - il divano turchese
che ha sempre desiderato -
lui - la dolcezza vellutata
che l’accoglie
sensuale,
nuda
in preda all’abbandono.
Sul suo corpo
le tracce degli dei,
Marte per primo, poi Cupido
per tacer delle deesse,
molto più che danno nel dono.
E - stupito - il tono della pelle,
la texture, con tanto di palette
per le sfumature
color miele del rum
venezuelano, diplomatico,
come non lo era mai stata lei
e l’aroma della cioccolata
ultraequatoriale e, s’intenda,
sudamericana.
Tensioni in scioglimento
come ghiacci
in piena crisi climatica
ragioni a esplodere nel petto
con il battito cavalcante
di chi ama
troppo
a prescindere
di chi soffre
troppo
a prescindere.
E brucia il pane
e brucia l’acqua, evapora
e il sangue si liquefà
e non è quello d’un santo,
mentre la lava cola
sulle pendici
e lì sotto non uccide
la ginestra.
Dentro
Troppe cose, dentro
poche rose
in questo periodo
di spine tra Esiodo
e la tragedia
greca. Mediterranea, va’.
Ormai di tanto mondo
s’è fatto piccolo il nostro
golfo amatissimo
come solo un golfo
può esserlo: un abbraccio
caldo e appassionato
intorno al mare che siamo
al moto ondoso
che ci scuote, mentre ci calma.
Dentro io e te.
E’ passato troppo tempo.
Sta passando troppo
tempo.
E’ qui che devi venire a prendermi,
dentro,
mentre dormi,
mentre sei sveglio,
mentre mangi,
mentre respiri,
mentre scrivi a tua figlia,
mentre aspetti
una risposta che piova
feconda nel tuo silenzio depresso,
dentro,
mentre passeggi
con la tua compagna di sempre
- e quanto le somiglio… -
dentro,
mentre nel lì e allora
senti
che ci stai ancora bene
qualche volta,
dentro,
mentre solo dai vostri luoghi
pensi a quando rido
e che mi sto allontanando
e allora mi riagganci,
dentro
mentre ti dico che
voglio una casa al mare
e il mare è solo giù,
è qui che devi venire a prendermi,
nel mio lago che tu non sai,
la mia città di vuoto,
di poco amore, storia e arte,
nella conca marina dei miei
innamoramenti
nelle mie braccia conserte,
nelle mie vite deserte
sulla mia pelle da attraversare
sul sentiero che dalla mente
passa per il naso e arriva
fino al piede.
Dentro,
prima che gli insetti ci divorino
e che scopriamo in fine
tutti i segreti dell’amore.







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