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Antonietta De Luca

I’m former professor of Letters and journalist until 2019, is a writer, school director of the Higher Education Institute "Carlo e Nello Rosselli", PhD in European research with a research on the internationalization of EU educational systems.

Author of the book of short stories entitled Stage Generation published in 2009, of the essay La critica letteraria by Giuseppe Pontiggia, she won, with the collection of poems Di Sangue e Pensiero edited for Edizioni Ensemble in 2012 and present at the fairs of Turin, Pisa and Rome, the Magna Grecia International Prize. In December 2016 and January 2017 are respectively the publication of the novel Looking for sole winner of the Master Prize Diego Latella with a jury composed, among others by Maria Latella, Roberta Serdoz and Massimo Gramellini, published by Memoranda, and the pedagogy essay on the school systems of the European Union entitled International Prof. published by Edison Publishing.

Currently I’m writing poems, novels and screenplays. Numerous participations in cultural events and broadcasts, anthologies, prizes and festivals. Many poetic and narrative texts have appeared in magazines and anthologies of literature since adolescence. Recent is the mention obtained at the World Poetry Prize "Nosside", by Pasquale Amato.

My professional growth has been followed and encouraged by teachers and writers accredited in the world of school, academy and literature including prof. Antonio Barbuto, former professor of History of literary criticism at the University La Sapienza of Rome, and Giuseppe Pontiggia.

As a humanist and convinced internationalist, I belong to the stage generation and to that category of women and men of the present and future looking for other possibilities in art, politics, social and civic engagement. Unable to take myself too seriously, I love irony and humor, laughing not to cry and fighting for everyone’s city.



Precipitando

 

Gemme come semi

nel terreno

preziose tra le dita

e i seni, sereno

il colore intenso

sigilla della vita

più di un momento

di vuoto e di pieno

di sonno e di silenzio.

Passi come abiti

su misura,

elastici, balze, merletti

e distanze, sassi

lanciati per gioco sullo specchio

dell’acqua marina,

una crepa lungo una parete,

un vetro segnato

un graffito sul muro,

un segreto ogni notte,

un respiro,

un sospiro,

un dolore lancinante

soffocato, un dolore

in mezzo al petto,

una ferita aperta

lungo il viaggio, lunga

quanto sarà sempre

il sentiero della bellezza,

di lui quell’immagine

che sola è tutti gli uomini

in cui credo da sempre

cadendo come un angelo

precipitando in love

fino al centro dell’inferno

perdendomi ogni volta

per sempre, senza ritrovarmi

e senza vivere,

senza poter parlare eppure

sussultando in un modo

impossibile da nascondere

impensabile da mascherare,

ma sei terra anche tu

dentro, comunque.

E non ci credo che ti stai

accadendo davvero senza di me.

Tu, il tuo solito cielo d’ombra,

buono per nasconderti

ancora una volta.

Mi parlavi piano e nelle tasche

piccoli frammenti di te

tra i polpastrelli a carezzare

la tua vita con la tenerezza

di un canto di miele, Titire.

 


Vestiti leggeri, scarpe comode

 

“Vestiti leggeri,

scarpe comode,

solo semplicemente,

cammino”.

Non era poesia, ma prosa.

In questi giorni mi tornano in mente

queste parole, ripetutamente, un refrain riemerso

dal Novantatré, forse, se tutto va bene.

Sarà perché mi sento innamorata

di uno che ti somiglia, anche se,

spero di no, però, accidenti,

ti somiglia proprio,

a partire da come cammina.

E’ altissimo e sbilenco

come te,

è scorpione, come te,

della prima decade,

vorrei precisare,

è mediterraneo, pelle scura,

occhi profondi

è un uomo di letteratura,

ama la musica,

suona la chitarra,

dimmi se - detta così -

non fa paura.

Per fortuna ha le mani grandi,

non piccole come le tue,

sgorbio.

E figuriamoci se non ha tante

donne, malgrado il matrimonio.

Ho quasi voglia di chiamarti,

ma neanche mi va di darti

tutta ‘sta soddisfazione.

Però dimmi se non è strano.

Chissà che c’è di me,

in voi, pezzi di merda.

Cosa ci può essere di così

prezioso e attraente

di me

in voi, custodi d’ogni criptonite.

Tutti come i fratelli di mia madre:

suadenti, enigmatici,

taciturni eppure narrativi,

inderogabilmente bellissimi.

E’ come se aveste un pezzetto

del centro del mio cuore

all’interno del vostro

e ve ne andaste in giro

con questa reliquia lampeggiante

di romantica purezza

senza lasciarla mai, tenendola

in cassaforte, stretta e vigilata.

E più che l’oppressione della prigionia

la fantasia si sprigiona,

il desiderio, l’energia

mai dissipata che rimane

in eccesso e produce

questo.

Ti rendi conto che avevo

diciassette anni?

A quarantotto

mi muovo ancora

sul sentiero della bellezza,

il tuo.

Non amavo come gli altri,

con la leggerezza di diritto

degli adoloscenti,

amavo e ancora amo

come un poeta vate, sobrio

e maledetto.

E non so di chi sono

solo quando varia il meteo

ormonale e sento di “avermi” persa

e piango il lutto di quella persona

che tanto avevo messo a diventare.

Tu lo sai sempre chi sono io,

in te, tutte le sensazioni che in coro

chiamo ancora e senza dubbio

“Amore”.

Adesso devo, però, riscrivere il copione,

perché l’incontro si realizzi

 e io non tema più la sfida

di rivivermi

e prenda col mio pezzo di cuore il tuo,

il vostro, quello degli uomini

irraggiungibili

solo perché

l’ho deciso io.

 

 

Tracce degli dei

 

Lei - il divano turchese

che ha sempre desiderato -

lui - la dolcezza vellutata

che l’accoglie

sensuale,

nuda

in preda all’abbandono.

Sul suo corpo

le tracce degli dei,

Marte per primo, poi Cupido

per tacer delle deesse,

molto più che danno nel dono.

E - stupito - il tono della pelle,

la texture, con tanto di palette

per le sfumature

color miele del rum

venezuelano, diplomatico,

come non lo era mai stata lei

e l’aroma della cioccolata

ultraequatoriale e, s’intenda,

sudamericana.

Tensioni in scioglimento

come ghiacci

in piena crisi climatica

ragioni a esplodere nel petto

con il battito cavalcante

di chi ama

troppo

a prescindere

di chi soffre

troppo

a prescindere.

E brucia il pane

e brucia l’acqua, evapora

e il sangue si liquefà

e non è quello d’un santo,

mentre la lava cola

sulle pendici

e lì sotto non uccide

la ginestra.

 

 

Dentro

 

Troppe cose, dentro

poche rose

in questo periodo

di spine tra Esiodo

e la tragedia

greca. Mediterranea, va’.

Ormai di tanto mondo

s’è fatto piccolo il nostro

golfo amatissimo

come solo un golfo

può esserlo: un abbraccio

caldo e appassionato

intorno al mare che siamo

al moto ondoso

che ci scuote, mentre ci calma.

Dentro io e te.

E’ passato troppo tempo.

Sta passando troppo

tempo.

E’ qui che devi venire a prendermi,

dentro,

mentre dormi,

mentre sei sveglio,

mentre mangi,

mentre respiri,

mentre scrivi a tua figlia,

mentre aspetti

una risposta che piova

feconda nel tuo silenzio depresso,

dentro,

mentre passeggi

con la tua compagna di sempre

-          e quanto le somiglio… -

dentro,

mentre nel lì e allora

senti

che ci stai ancora bene

qualche volta,

dentro,

mentre solo dai vostri luoghi

pensi a quando rido

e che mi sto allontanando

e allora mi riagganci,

dentro

mentre ti dico che

voglio una casa al mare

e il mare è solo giù,

è qui che devi venire a prendermi,

nel mio lago che tu non sai,

la mia città di vuoto,

di poco amore, storia e arte,

nella conca marina dei miei

innamoramenti

nelle mie braccia conserte,

nelle mie vite deserte

sulla mia pelle da attraversare

sul sentiero che dalla mente

passa per il naso e arriva

fino al piede.

Dentro,

prima che gli insetti ci divorino

e che scopriamo in fine

tutti i segreti dell’amore.



ree

 
 
 

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